Report del Seminario “Deformazioni trasformative” a cura di Gabriella Russo.

Palermo: Su “Deformazioni trasformative” di Lorena Preta e Aldo Costa

A cura di Gabriella Russo

Sabato 30 settembre al Centro di Psicoanalisi di Palermo, Lorena Preta e Aldo Costa hanno presentato un seminario dal titolo “Deformazioni trasformative”, una riflessione su temi di grande interesse psicoanalitico con un occhio attento al contributo dell’arte.

Studio dal ritratto di Innocenzo X, F. Bacon, 1953.

I ritratti di Bacon, e in generale gli oggetti della sua pittura, nell’ essere il risultato di un “agire deformativo”, hanno un nucleo resistente, che, pur generandosi nel ritratto, assume esistenza autonoma. In modo analogo, secondo Lorena Preta, la Psicoanalisi non è in grado, né è intenzionata a trasformare la sostanza che si offre al suo agire interpretativo, ma può favorire “passaggi di stato”, mentre al tempo stesso prende atto di alterità non addomesticabili. In questa prospettiva il lavoro analitico è un lavoro attraverso quelle trasformazioni che lasciano spazio al transito dall’emozione al pensiero e viceversa; alla Psicoanalisi gli oggetti interessano dal punto di vista della loro rielaborazione da parte del soggetto, perché ciò che è in gioco riguarda la ricerca del significato e non la ratifica dell’esistente.

Autoritratto, F.Bacon, 1971

La deformazione dà dunque atto alla realtà ineludibile dell’oggetto. “L’incontro con l’oggetto, con la realtà è sempre e comunque traumatico”. Le trasformazioni possono solo dare significato ed estensione alla realtà, non svelarla denudandola. Ma è l’aumento di senso generato dalle trasformazioni che si producono nel campo (analitico), a dar vita a formazioni originali, creative.

Il lavoro di Aldo Costa, mantenendo il focus sul mondo dell’arte figurativa, sposta il campo di interesse sul fenomeno dell’anamorfosi, già proposto da Lacan, per allargare la prospettiva della deformazione come processo collegato alla possibilità di spazializzazione della temporalità.
Il fenomeno dell’anamorfosi è noto soprattutto nel mondo delle arti visive, quale sistema di rappresentazione pittorica realizzata secondo una deformazione prospettica che ne consente la giusta visione da un unico punto di vista (risultando invece deformata e incomprensibile se osservata da altre posizioni). Nel quadro di Hans Holbein il Giovane, “Gli ambasciatori”, un doppio ritratto a figura piena ambientato vicino a un ripiano pieno di oggetti simbolici ed evocativi, sul pavimento, quasi in primo piano, vi è un oggetto indistinto, come un qualcosa che si trovi in transito. Guardando il dipinto da un lato esso diventa un teschio, figura anamorfotica interpretata dai critici come memento mori alla caducità delle cose terrene.

Gli Ambasciatori, H Holbein, 1533

Lacan ha considerato l’effetto anamorfotico del quadro di Holbein come evocativo di beanza/castrazione, mentre Costa in accordo con R. Bartes (La camera chiara), lo avvicina ad un punctum, una perturbazione. La “puntura”, perturbando, apre lo spazio verso un mondo di pensieri ed emozioni, rimemorazioni. In questo senso Aldo Costa suggerisce che l’oggetto anamorfotico, come altri oggetti illusionali, offra la possibilità di allargare la comprensione dell’oggetto e la sua articolazione con il soggetto percipiente.
Così nel film di Alexander Sokurov “Madre e figlio”, la mano della madre morente ripresa dalla camera in modo da sembrare un oggetto anamorfotico “punge” lo spettatore, evocando significati legati alla relazione tra madre e figlio, la vita e la morte.

Fotogramma dal film di Alexander Sokurov “Madre e figlio”, del 1997

L’oggetto anamorfotico, nel focalizzare lo sguardo su una regione privilegiata dello spazio, sovverte la modalità centralizzata della visione estendendo il senso aldilà del bruto dato reale. Costa auspica che, in tal senso, la Psicoanalisi vada a considerare ogni oggetto come potenzialmente anamorfotico, e quindi “si abitui a vederne i margini, le evanescenze, le complessità, con uno sguardo che essendo mobile sia capace di inseguire la deformazione, che di per sé, essendo il frutto di un lavoro rappresentativo, indica la capacità di apertura verso ulteriori possibilità di trasformazioni.”