In questo romanzo continuano le avventure di Giovà, sempre nello stesso contesto, Partanna Mondello . Certo non è la Palermo “Felicissima”, anzi direi che Roberto Alajmo ci mette a contatto con una Palermo “Miserrima”, che ignora le regole fondamentali dell’urbanistica nonché dell’estetica con abitazioni “nello stile incompiuto siciliano”. Per le strade non si vedono spazzini, pertanto vengono pulite di rado e la presenza di un operatore ecologico che svolge il suo lavoro desta sospetti. La borgata di Partanna non è solo una cornice ma uno spaccato, in miniatura, di una realtà più ampia: di Palermo, della Sicilia e persino di Roma; il problema delle buche, per esempio, accomuna tutti questi luoghi. Emerge con evidenza la reazione di Giovà che può essere considerata emblematica di un certo tipo di filosofia siciliana :
“Il segreto, in fondo, è uno solo: imparare dove sono le buche, memorizzarle e provare a evitarle, giorno dopo giorno.” Vi è rassegnazione, un’assuefazione al problema che porta a convivere con esso. Limitare al massimo il rischio evitando qualsiasi situazione nuova. “Limitarsi al tragitto casa- lavoro sarebbe perfetto”. La madre di Giovà gli dice: “Niente che ti dico sempre? Se non fai niente non sbagli”. Giovà conosce e tutto sommato condivide questo cardine della filosofia materna, secondo cui se le seccature ti cercano, basta non farsi trovare. “Cosi’ è il destino: fin quando tu non lo guardi negli occhi, magari nemmeno lui ti guarda. Ma se lo guardi, pure lui ti guarda. E ti frega”. La borgata è l’ambiente dove vive la famiglia Di Dio e dove si muove Giovà, investigatore non per scelta ma costretto dagli eventi e da coloro ai quali non si può dire di no. Se passiamo in rassegna i vari protagonisti investigatori dei gialli esistenti in letteratura, vediamo che sono tutti personaggi dalla forte personalità, intelligenti, dotati di intuito e capacità di analisi dei vari dati; ma hanno anche fascino, carisma, sex appeal e inoltre hanno passioni e interessi, come Nero Wolff che coltiva orchidee, Montalbano che è amante della lettura e della buona cucina siciliana, Harry Bosch che ha la passione per il jazz ; alcuni hanno caratteristiche particolari come il maresciallo Fenoglio che ha un grande senso dell’umorismo, il commissario Ricciardi che ha la capacità di percepire, nei luoghi del decesso, gli spiriti delle vittime di morte violenta che ripetono ciò che stavano pensando o dicendo nel momento della morte; altri sono trasgressivi come Sherlock Holmes che fa uso di cocaina e morfina e colleziona tabacco di pipa.
Roberto Alajmo sembra che nel creare Giovà abbia scelto di delineare una figura totalmente all’opposto di quelle esistenti in letteratura e, pertanto, è venuto fuori un personaggio veramente originale: non è molto intelligente, non ha carisma, non ha intuito, svolge le indagini persino controvoglia, non viene nemmeno chiamato con il suo nome intero, ma con metà nome, come se venisse considerato un mezzo uomo. “La divisa sembra fargli da scudo mimetico, perché nessuno fa caso a questo soggetto incongruo, sovrappeso che osserva immobile il luogo del delitto” . “ Non te la levare. Che per quanto di metronotte, sempre divisa è. Serve a darti… un ruolo, diciamo”. Anche la madre e la sorella non hanno un’alta considerazione di Giovà: “Niè, sto figlio mio ha tanti pregi, ma piegare le lenzuola non è cosa sua”. A Giovà pare di cogliere uno scambio di occhiate fra la madre e Mariella che è anche più severa: “Poi qualche volta me li spieghi, quali sono tutti sti altri pregi”. A 50 anni vive con i genitori, non ha relazioni sentimentali, non ha una vita sessuale, anzi concepisce la sessualità come un adolescente, si nutre di zucchine a casa e pizzette che compra di nascosto e nasconde sotto il letto. Dorme molto, si muove poco, non ha interessi né passioni. Non ha un ruolo istituzionale importante, è una guardia di un’agenzia privata. Passivo, apatico, senza qualità, ha alcuni aspetti in comune con “L’uomo senza qualità” di Musil : come Ulrich è indifferente alla realtà, distaccato, senza passioni, ha un’esistenza basata sull’evitamento, sul nichilismo, indifferente al bene e al male, alla giustizia e all’ingiustizia. Così come Ulrich rappresenta il decadentismo viennese, Giovà può rappresentare il decadentismo palermitano.
E’ possibile che Roberto Alajmo abbia voluto creare un personaggio senza alcun potere per rappresentare tutti coloro che sono senza potere, che non appartengono alla mafia ma sono distanti dallo stato, “…uno dei fondamenti su cui è stata costruita l’educazione dei figli è che alle domande degli estranei non si risponde mai. Tanto meno alle domande della polizia, che rappresenta il massimo della estraneità.” Pertanto questi soggetti, quando sono in difficoltà, cercano protezione in una “amicizia”. “ I Di Dio , si ritrovano in balia degli eventi senza poter contare né sullo Stato né sull’ Antistato, perduti in una terra di nessuno dove l’isolamento fa da moltiplicatore dello sconforto” e ancora una volta si rivolgono, per essere aiutati, allo Zzu, personaggio molto significativo: tiene il controllo mafioso della borgata ma nello stesso tempo è colui che ha dato lavoro a Giovà, essendo titolare dell‘agenzia che fa servizio di vigilanza e così mantiene ulteriormente il controllo sul territorio; è pure Presidente della Pro Loco di Partanna Mondello e in quanto tale ha consegnato il Premio Legalità all’attore che ha fatto Borsellino in televisione. Roberto Alajmo ci fa vedere in piccolo e in periferia ciò che avviene a livello centrale, regionale e persino nazionale, allo Zzu corrisponde l’imprenditore che per difendere i propri interessi entra in politica con i voti della mafia e magari fa parte della commissione antimafia o partecipa alle manifestazioni per commemorare le stragi di mafia. Si tratta della cosiddetta “area grigia” che sta tra la mafia e lo Stato e dove si muovono soggetti che appartengono ad entrambi gli ambiti per trarre interessi per sé stessi in modo illecito.
Nelle sue ultime opere, compreso il testo teatrale “La compagnia del sonno” , Roberto Alajmo usa uno stile farsesco-drammatico che da un lato porta a sorridere e dall’altro fa riflettere su problemi della società o su talune condizioni esistenziali dell’uomo. “La boffa allo scecco” è anche un libro di denuncia sociale e politica e alla fine lascia un senso di amarezza perché ci fa entrare nel mondo di quelli che non hanno alcun potere né cultura per affrontare la realtà. Come dice lo stesso titolo vi è una sopraffazione da parte dei più forti sui più deboli fino ad arrivare agli ultimi “quelli che non possono reagire” e che possono scaricare la loro aggressività solo su un asino , un animale mite che non può difendersi. Dice Antonietta: “Noialtri famiglia Di Dio, e quelli come noi: siamo il muro basso… Al muro basso tutti ci s’appoggiano… siamo il poggiapiedi di tutti.” Questo movimento, dall’alto verso il basso, di rivalsa del più forte nei confronti del più debole, si accompagna ad una caduta di tipo morale, a un tradimento sul piano affettivo; persino la famiglia che fino ad un certo punto è coesa nel difendere tutti i suoi membri, in un secondo momento cambia e di fronte al pericolo è disposta a sacrificare il più debole, in questo caso Giovà, che in questa vicenda ,in definitiva, rappresenta “lo scecco”. Il tema del “capro espiatorio” della famiglia è presente in un’altra opera di Roberto Alajmo ”E’ stato il figlio”: trionfa il cinismo, la legge del più forte, la spregiudicatezza , la convenienza materiale , come avviene spesso nell’ ambiente mafioso, anche all’interno della propria famiglia.
La lettura dei tre romanzi che hanno come protagonista Giovà è avvincente ,nel senso che il lettore viene coinvolto e non riesce ad interrompere non solo per il contenuto, per le vicende che portano all’indagine ed alla scoperta dei responsabili dei reati, ma soprattutto per il tipo di scrittura che ha creato Roberto Alajmo ; anzi direi che è una lingua che non ha creato, ma è stato capace di recepire e farla propria perché esiste: è un italiano sicilianizzato, un siciliano italianizzato, un modo di parlare di quei palermitani piccolo-borghesi, che non sono colti ma hanno un’attenzione particolare per il linguaggio per darsi un tono, una postura che susciti maggiore rispetto e che compensano le carenze culturali con l’intelligenza, l’intuito ,la creatività, l’ironia. E’ diversa dalla scrittura di Andrea Camilleri che usa un italiano dove vengono inserite frasi, parole, citazioni siciliane; il linguaggio di Roberto Alajmo ha una sua sintassi, una grammatica, una costruzione del discorso che sono propri di un modo di parlare. Anche quando i personaggi si esprimono in italiano evocano il dialetto siciliano. Antonietta distribuisce “ perle di saggezza”, parla usando immagini, metafore, racconta storie, aneddoti e attraverso le parole scelte con cura zittisce, spiega, consiglia, dirige e convince. Efficace e divertente l’espediente delle frasi fra parentesi per comunicarci ciò che i personaggi non dicono ma pensano, i commenti che ciascuno tiene per sé, ciò che non si può dire, a volte persino opposto a ciò che viene detto; ne deriva, in certi momenti, una sorta di doppia comunicazione.