Maurizio Guarneri, Psichiatra, Psicoanalista, Membro Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana e socio del Centro di Psicoanalisi di Palermo, ha presentato nei giorni scorsi il libro di Anna Mosca Pilato “La bambina dai capelli finti”.
Ecco il suo commento e la recensione al libro
“Caterina ha sempre evitato di tornare nel paese di origine, ha volutamente messo da parte la sua infanzia, ha cambiato persino modo di farsi chiamare: una volta era Erina. Adesso da adulta sta per fare la stessa operazione; ma quando ancora una volta ha deciso di non ritornare, improvvisamente viene presa da una forza opposta: è come se non volesse, non potesse, inconsciamente, perdere l’ultima occasione, «come se la macchina del tempo l’avesse di colpo risospinta indietro».
Tutto è stato rimosso. Efficace è la metafora del mare per rappresentare la mente e la casa dell’infanzia vista come un atollo che si salva dall’oblio; è ciò che per prima riemerge nel presente, nel ritorno del rimosso. Freud utilizza la metafora del mare per descrivere la prima topica: conscio-inconscio-preconscio. Il mare aperto corrisponde all’inconscio, la spiaggia al conscio e il bagnasciuga al preconscio.
Il viaggio di ritorno alle origini in treno, fa pensare a un’altra metafora freudiana: le immagini che si susseguono guardando dal finestrino e il libero flusso dei pensieri, che continua con maggiore intensità una volta che Caterina è arrivata nella casa della sua infanzia, si possono paragonare alle libere associazioni in psicoanalisi.
Interessante la descrizione delle due palazzine vicine unite da un cortile interno: due mondi differenti, uno più ricco dell’altro. Erina ne conosce uno e poi scopre l’altro, inizia a frequentarli entrambi e così può farsi un’idea della realtà esterna alla propria famiglia nonché, nel confronto, un’idea della sua realtà. La bambina ha una spiccata curiosità, con tutti gli organi di senso nota, studia, esplora l’ambiente dove vive e cerca di assorbire ogni dettaglio, di incamerarlo e di tenerlo dentro di sé.
La “pulsione epistemofilica” è la capacità del bambino di avere desiderio di imparare, consacrando una parte della sua libido agli oggetti del mondo che deve conoscere, comprendere ed abitare. Il desiderio è quindi il fondamento stesso dell’apprendimento, che non è solo utile -in special modo quello scolastico- ma il bambino sublima una parte della sua energia rivolgendola verso il mondo e uscendo così da una posizione narcisistica, autocentrata. Erina ha una curiosità rispetto alla nascita dei bambini, si chiede come mai tutte le donne che diventano mamme stiano a letto. Non molto convinta delle spiegazioni che riceve, internamente si ribella e pensa che per lei sarà diverso. Freud dice che fino a quando i bambini non sanno come sono nati veramente, creano le loro teorie, le teorie sessuali infantili, piuttosto buffe e bizzarre.
Caterina ha un intenso flusso di pensieri, arriva un’«onda di ricordi», una gran quantità di fatti, sensazioni, emozioni, personaggi, luoghi e case, ma anche parole, espressioni dialettali e modi di dire. La ricca rievocazione attuale della donna adulta corrisponde alla forte curiosità della bambina Erina; all’intensa attitudine a recepire messaggi da tutto ciò che circonda la bambina, corrisponde da un lato, nella rievocazione, la ricchezza dei ricordi della donna adulta e dall’altro la ricchezza della scrittura di Anna Mosca Pilato, florida, piena di immagini, analogie, metafore, descrizioni precise e dettagliate al punto che il lettore riesce a percepire le sensazioni visive, uditive, gustative e persino tattili della piccola Erina.
Nell’infanzia di Erina possiamo cogliere le basi, i presupposti della creatività che si svilupperà via via nel corso degli anni e le permetterà di diventare una scrittrice: intanto «c’era in lei un grande desiderio di libertà e di avventura che anelava alla scoperta e magari anche alla fuga, il quale spesso si sfogava solo con lunghi e accesi voli della fantasia ma che aspirava a concretizzarsi in veri e avventurosi vagabondaggi fuori dagli angusti confini della casa, della scuola e del quartiere che aveva già esplorato in lungo e in largo». Quindi notiamo innanzitutto una spiccata curiosità e una tendenza alla scoperta di mondi nuovi, nonché un’intensa attività fantastica che compensa la limitatezza della propria vita quotidiana routinaria; molti «sogni ad occhi aperti», ma anche di notte durante il sonno, molti sogni veri e propri al punto che «al momento del risveglio, ritornava sempre un po’ faticosamente alla realtà perché le sue notti erano densamente popolate di sogni, complessi, vari, animati e quasi sempre bellissimi». Sogna inoltre tante case, come se fossero tanti contenitori di parti della personalità, «abitazioni segrete nelle quali lei viveva in incognito quasi come avesse una doppia vita, perché evidentemente non desiderava essere trovata». Erina è attratta da ogni forma di arte, osservando l’amico e vicino di casa Orazio disegnare, si appassiona e in seguito si cimenta nella pittura, apprendendo anche dalla propria madre. E’ affascinata dai presepi articolati e ricchi che Orazio crea ogni Natale, dall’arte culinaria dei parenti, conosce le varie ricette dei piatti tradizionali, dei dolci tipici delle diverse ricorrenze.
La natura artistica di Erina si rivela anche nella pareidolia o illusione pareidolitica, nella tendenza cioè a vedere forme ed oggetti riconoscibili nelle strutture amorfe che ci circondano, quali nuvole o rocce; Erina vede volti umani in una finestra o nelle facciate delle case, che nella sua mente subiscono una trasformazione antropomorfa, è un fenomeno istintivo, una capacità innata, anch’essa di tipo creativo. Erina fin da piccola è consapevole di sentire, oltre alla spinta ad esternare ed esprimersi in varie forme artistiche, il bisogno di suscitare negli altri stupore, ammirazione, apprezzamento.
«La bambina dai capelli finti» pratica in vari momenti quella che Winnicott chiama area intermedia, quell’area che sta tra la realtà del mondo esterno e la realtà psichica, del mondo interno; è l’area del gioco, della fantasia, del sogno, della religione, della politica e dell’ arte. A essa viene attribuita una funzione di ristoro: l’Io, per alleggerirsi dell’eccessivo peso dei due mondi della realtà, ha bisogno di evadere e di ricaricarsi.
Silvana Grasso, nella sua recensione di questo romanzo , accosta la vicenda di Caterina a quella di Edipo e dice : «scava nelle macerie della sua vita alla ricerca della verità, quale essa sia la verità, anche terribile come la verità, che disperatamente volle per sé Edipo , il figlio di Laio e Giocasta». La verità se da un lato è, come dice Bion, cibo sano per la mente, dall’altro può essere dolorosa e avere gravi conseguenze; Edipo non si ferma nella sua ricerca, va fino in fondo e pagherà un prezzo molto alto: l’autoaccecamento. Così Caterina da bambina, per la voglia di conoscenza, andrà incontro ad una esperienza che la segnerà e da adulta dovrà nuovamente confrontarsi dolorosamente con la verità del suo passato.
«La bambina dai capelli finti» è uno di quei romanzi che si possono comprendere soltanto alla fine della lettura, la prima parte acquista un significato pieno nella seconda parte. Il problema è presente fin da subito ma non è evidente, pertanto non è possibile affrontarlo; c’è stato un trauma ed è stato rimosso. Caterina non ne ha consapevolezza, ne subisce l’influenza e ne risente la sua intera esistenza poiché esso agisce a un livello profondo, inconscio: c’è una coazione a ripetere, ogni relazione sentimentale viene da lei stessa, più o meno consciamente, attaccata: è una sorta di autosabotaggio. Improvvisamente, senza pensare, sente istintivamente di volere partire e tornare nei luoghi da cui è andata via tanto tempo fa, «di capire, di sapere, per provare finalmente a fare pace col suo passato». Ci sarà una fase in cui pian piano ritorneranno ricordi, sensazioni, emozioni e improvvisamente verrà alla luce ciò che permetterà di mettere a fuoco il problema e finalmente poterlo conoscere e a poco a poco risolvere. Alla fine «Caterina si era riunita con Erina che per tanto tempo aveva detestato e biasimato, e finalmente aveva fatto pace pure con il suo passato». Ci sono molte analogie con alcuni elementi del processo analitico: il ritorno alle origini come il ritorno al passato, il viaggio come la regressione, la memoria e il ritorno del rimosso, trovare il focus e analizzarlo, elaborare il trauma e superarlo, riunire le parti della personalità fino a quel momento scisse e contrapposte. Alla fine Caterina può riprendere in mano la sua vita, cercare di realizzare più serenamente i suoi desideri, abbandonare lo pseudonimo, riprendere il suo vero nome e spargere in giro «gocce preziose», i suoi libri… e forse realizzare molto altro ancora.”
Maurizio Guarneri