Il negativo in psicoanalisi
Ecco un estratto della prefazione di Maurizio Balsamo alla nuova edizione de “Il lavoro del negativo” di A. Green, Mimesis Edizioni.
“Affinché il negativo appaia, scrive Green, è necessario far muovere il dispositivo della coscienza, proporre un artificio alla comunicazione attraverso il linguaggio. La creazione di questo artificio è dettata dall’ipotesi dei rapporti che reggono il positivo e il negativo della parola. Perché è chiaro che nella comunicazione ordinaria, il negativo è assoggettato, almeno nelle apparenze, al positivo. È l’associazione libera, come figura mimetica del sogno, l’espressione più prototipica del negativo. Che significa infatti l’associazione libera se non l’allentamento della morsa del positivo che costringe la coscienza?” (infra, p. 59). Qui si rivela già un primo senso grazie al quale possiamo intendere il negativo in psicoanalisi: il negativo come emersione di un lavoro psichico non visibile ma presente, opacizzato dal positivo della coscienza[i]. Questa opacità ha lo scopo primario, innanzitutto mediante l’attività di rimozione – che diventa il prototipo dei fenomeni o dei processi di negativizzazione – di proteggersi da ciò che la interrompe o la mette in tensione, smentendola, sottoponendola ad un eccesso pulsionale che bisogna regolare, imbrigliare, tradurre, per poterlo vivere.
Allo stesso tempo, questa dimensione del negativo non è facilmente coglibile proprio “perché la coscienza non concepisce nemmeno a cosa rinvia questo termine se non con un’intuizione immediata, come l’espressione di ciò che è, cioè ancora un altro modo di essere, ossia di nuovo un positivo” (infra, p. 57). Il che non implica di accontentarsi di caratterizzare il negativo come una specie di “qualità evanescente… al contrario, il negativo per i suoi agganci al pulsionale, si afferra con la durezza implacabile che gli conferisce la coazione a ripetere, come il fondamento che ne sfida la razionalità” (infra, p. 58). Pertanto, esso non indica semplicemente l’inverso del positivo, “una connotazione di un tipo di valenza contraria a ciò che viene affermato per primo, ma anche rivelazione di un essere radicalmente diverso da quello del positivo” (infra, p. 58).
Insomma, possiamo osservare che il negativo non definisce affatto un’essenza, non garantisce la perennità del positivo, ma piuttosto “dice il rovesciamento della prospettiva dell’essenza come immutabilità e invariabilità […] Questo negativo ha il potere di conferire retroattivamente al positivo che gli preesiste un senso che non avrebbe mai potuto essere colto attraverso la considerazione delle proprietà che la sua sola positività faceva pensare” (infra, p. 59). Per questo, proprio per la sua non appariscenza, per la molteplicità delle sue versioni “che vanno dalla manifestazione implacabile della coazione a ripetere ..fino ai segni più discreti”, occorre smuovere il dispositivo della coscienza: è per l’appunto la proposta delle libere associazioni, espressione del metodo analitico, implicante la rottura dei nessi logici, che permette di dare vita ad un discorso apparentemente insensato, e tramite esso al molteplice del senso, a ciò che disloca le autorappresentazioni del soggetto umano, aprendo, scavando il negativo nel positivo coscienziale.
Questo aspetto ci conduce ad un secondo aspetto del negativo che stabilisce la base di un buon funzionamento mentale: occorre negare per costruire, negare per difendersi da un eccesso di positività, la positività e l’intensità delle dinamiche pulsionali, della forza del desiderio. La celebre espressione freudiana “la nevrosi è il negativo della perversione” definisce, certamente, il conflitto fra il tentativo di coerentizzare la vita psichica e lo sfaldamento dell’Io o dell’ideale dell’Io dato dall’irruzione delle pulsioni parziali, dalle fissazioni del piacere in zone corporee giudicate illecite, da piaceri non finalizzati alla riproduzione, nel tentativo conseguente di respingere ciò che è altro dalla mia autorappresentazione; ma allo stesso tempo indica, in particolare, la funzione benefica del processo di negativizzazione nell’equilibrio psichico.
Maurizio Balsamo
[i] Qui prendo in esame una differente classificazione del senso del negativo. Green, ne Il lavoro del negativo propone anche la seguente organizzazione dei sensi possibili del negativo. Un senso oppositivo, implicante una dimensione conflittuale che va dall’opposizione al tentativo di distruzione dell’altro termine. Se si prende in esame, infatti, la dimensione di rifiuto che l’opposizione esprime, essa può andare fino alle forme estreme della disoggettualizzazione o della desoggettivazione; un senso simmetrico che si stabilisce rispetto ad un neutro referenziale intorno a cui si articolano le coppie ovviamente variabili nel tempo di positivo e negativo; un senso di sopravvivenza. Se la mente è occupata dal presente, qualcosa deve essere lasciato in latenza ed esiste allo stato di virtualità. Ciò che è assente, scrive Green, può essere definito il negativo della presenza. Ovviamente si indica in tal modo un movimento che esplora le diverse figure, rovesciandole, mutandole di segno (infra, pp. 27-28).